Il grande maestro GIGI PROIETTI
La semantica
è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole.
Degli insiemi delle parole. Delle frasi e dei testi.
La metasemantica, nell’accezione proposta da Fosco Maraini, va oltre il significato delle parole e consiste nell’utilizzo di parole prive di referente, ma dal suono familiare alla lingua a cui appartiene il testo stesso e della quale deve seguire comunque le regole sintattiche e grammaticali della lingua italiana. Dal suono e dalla posizione all’interno del testo si possono attribuire significati più o meno arbitrari a tali parole.
Questa tecnica letteraria è stata interamente inventata e teorizzata proprio da Maraini e consiste nell’utilizzo di parole prive di significato, ma dal suono familiare alla lingua cui il testo appartiene (nel nostro caso, ovviamente, l’italiano).
Sono, quindi, termini privi di referente linguistico, ma comprensibili perché costrette a seguire le stesse regole sintattiche e grammaticali della lingua del contesto generale.
Il significato – in realtà non ufficialmente codificato – può essere desunto da tali regole, ma anche dal suono delle parole, spesso evocativo oppure onomatopeico, dalla loro posizione all’interno di una frase, ma si tratta di un significato attribuito assolutamente a livello personale.
Al giorno d’oggi sono molti i poeti, soprattutto a carattere amatoriale e nella poesia dialettale, che fanno uso della metasemantica.
Fosco Maraini è stato innanzitutto un poeta, geniale come abbiamo visto, e padre di Dacia Maraini, anche lei insigne scrittrice. Ma fu anche uno scultore, un etnologo specializzato nelle civiltà orientali, un intellettuale…
Irresistibilmente attratto dall’Oriente, s’imbarcò nel 1934 sulla Amerigo Vespucci diretta in Africa del nord e Anatolia come insegnante d’inglese. Nel 1937 partecipò a una spedizione in Tibet che ripeté anche undici anni più tardi. Conosciute, infatti, sono le sue fotografie delle catene montuose del Kakarakorum e dell’Hindu Kush, finché non si trasferì stabilmente in Giappone dove fu ricercatore all’università di Kyoto e di Sapporo e dove nacquero le altre due sue figlie.
Come t’invento una lingua
Quella della poesia metasemantica è, in definitiva, una lingua inventata che si gioca il tutto per tutto sull’aspetto evocativo basato sull’elemento uditivo.
In questo modo parole astruse assumono forme, colori, suoni… ma non basta inventare parole, bisogna pensare anche alla grammatica e alla sintattica per creare ex novo una lingua!
Ora, la metasemantica questo non lo fa, ma ci sono stati esperimenti che hanno osato ben oltre. Si pensi all’esperanto o al quenya (la lingua degli elfi inventata da Tolkien in Il signore degli anelli).
In entrambi i casi si è partiti da lingue conosciute (una o più di una) e si sono deformate le desinenze e le parole, trasformandone di fatto la musicalità, un po’ come si faceva da bambini parlando al contrario o cercando di cantare le canzoni in un maccheronicissimo inglese ottenuto sparando parole a caso che però rispettassero la metrica della canzone.
Per dovere di cronaca, esistono anche lingue inventate che non poggiano su nessuna base “conosciuta” e che alimentano la tecnica del nonsense. È il caso del grammelot – diffuso da Dario Fo – che confonde l’uditore facendogli credere di trovarsi davanti a una lingua conosciuta che gli risulta, invece, incomprensibile. Molto usato dagli attori in diversi contesti, in genere viene pronunciato rapidamente e accompagnato da gesti molto eloquenti che suppliscono alla comprensione linguistica.
E PER RIDERE UN POCO
TU NO RIDE
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